Con ordinanza n. 4404/2022 del 10 febbraio, la Cassazione si espressa in merito alla legittimità del licenziamento disciplinare, intimato al lavoratore che si era rifiutato di assoggettarsi al trasferimento ad altra sede.

L’ordinanza trae origine da una complessa vicenda giudiziale intrapresa a seguito del licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore che, dopo il trasferimento motivato dalla soppressione dell’unità organizzativa di appartenenza, si era rifiutato di recarsi presso la nuova sede di lavoro.

La Suprema Corte ha ritenuto in primo luogo che, una volta accertata la legittimità del trasferimento intimato dal datore di lavoro, sia stato correttamente fatto conseguire l’indebito rifiuto del lavoratore a recarsi presso la nuova sede e di conseguenza la giusta causa del licenziamento.

La Corte ha altresì stabilito che anche “in caso di trasferimento adottato in violazione dell’articolo 2103 del codice civile, l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’articolo 1460 del codice civile, comma 2, alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede”. Nel caso specifico  ha considerato il rifiuto del dipendente di trasferirsi contrario ai canoni di correttezza e buona fede, in quanto strumentalizzato all’intento di vincere le resistenze datoriali nell’ambito di una trattativa economica ed ha pertanto confermato, anche per tale via, la legittimità del recesso datoriale.

Data rilascio: 18.2.2022