Il Tribunale di Benevento, con la sentenza n. 1152/2025, ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad una lavoratrice a seguito di sopravvenuta inidoneità fisica.

Nel caso di specie la lavoratrice ricorrente, a seguito di un intervento chirurgico, in un primo momento era risultata idonea al lavoro ma con specifiche prescrizioni mediche per pause posturali ed era stata adibita a mansioni compatibili con tali limitazioni; successivamente tuttavia, con una nuova visita venivano imposte ulteriori limitazioni,  volte a evitare il lavoro notturno, le posture fisse prolungate, la movimentazione manuale di carichi e ad osservare pause di circa 10 minuti per ciascuna ora lavorativa.

La società datrice aveva quindi comunicato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, adducendo l’inesistenza in azienda di postazioni compatibili con le limitazioni accertate e, conseguentemente, la lavoratrice impugnava il licenziamento, sostenendo che la società avrebbe potuto adibirla a postazioni aziendali compatibili.

Nel merito, il Giudice del Tribunale di Benevento, richiamando la sentenza n. 7755/1998 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite,  la quale aveva sostenuto che, nei casi di sopravvenuta inidoneità del dipendente a svolgere le mansioni per le quali è stato assunto, sussiste il c.d. obbligo di repêchage (inteso come possibilità di collocare il dipendente presso un altro reparto o di adibirlo ad altre e diverse mansioni, incluse quelle inferiori), nonché la giurisprudenza e normativa comunitaria (Direttiva 70/2000/CE e la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità) ha evidenziato che “il datore di lavoro in casi di questo tipo non deve limitarsi a verificare la presenza in azienda di posizioni compatibili con lo stato di salute del dipendente, ma si richiede un quid pluris; deve attuare “accomodamenti ragionevoli”, intendendosi per tali le modifiche e gli adattamenti necessari e idonei a tutelare il lavoratore, conducendo per tal via a configurare in capo al datore di lavoro un onere aggiuntivo a quello di repêchage”.

Secondo il Giudice che ha esaminato il caso di specie, gli “accomodamenti ragionevoli” sono imposti dal canone di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e dal dovere di solidarietà (art. 2 Cost.) e conseguentemente, l’onere gravante sul datore di lavoro può essere assolto mediante la deduzione del compimento di atti o operazioni strumentali che dimostrino l’accomodamento ragionevole e che convincano il giudicante che il datore abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata per evitare il licenziamento, oppure è necessario che il datore di lavoro sia in grado di dimostrare che eventuali soluzioni alternative, seppure praticabili, siano prive di ragionevolezza, ad esempio perché sproporzionate o eccessive sulla base di costi finanziari o di altro tipo, delle risorse o delle dimensioni aziendali.

Nel caso di specie, è stato ritenuto che il datore di lavoro non avesse assolto l’onere probatorio, gravante sul medesimo, di dimostrare l’impossibilità di adibire la ricorrente a mansioni alternative o di attuare “accomodamenti ragionevoli” e che anzi, la prova per testi,  avesse dimostrato che, con semplici accorgimenti organizzativi da parte del datore di lavoro, la ricorrente avrebbe potuto continuare a svolgere le mansioni di operaia e pertanto il licenziamento è stato ritenuto illegittimo.

Data rilascio: 25.11.2025